Una lunga teoria di ombre si distende, da oltre
cinquant’anni, sulle tele di Bruno Gorlato. La vediamo posarsi lieve sui
paesaggi degli esordi, velando i resti di vecchie macchine agricole e di arche
ancestrali, testimonianze materiali di civiltà passate o addirittura remote. La
ritroviamo, più buia e profonda, tra gli insediamenti medievali immaginati per
le composizioni successive, ove a torri e mura merlate si accostano pendici
montuose e alberi inariditi. Ne avvertiamo il valore poetico nelle opere della
maturità, in cui scandisce i volumi e raccorda gli spazi di gruppi
architettonici dall’umore metafisico, dei quali proietta al suolo il fantasma.
Ad orchestrare questo raffinato gioco
chiaroscurale, nonché a determinare l’allungarsi delle ombre sulle superfici, è
una luminosità che piove obliqua sul mondo, riconducibile alle ore che seguono
l’alba e a quelle che precedono il crepuscolo: fasi a cui la pittura regala una
durata infinita. Per l’apparire delle sue piazze, delle città, dei
panorami l’artista ha scelto perciò i momenti del giorno attraverso i quali,
nella luce, ogni cosa si rivela per poi tramontare. Mutevoli e carichi
d’attesa, essi sembrano prestarsi a richiamare rispettivamente l’attività
dell’immaginare e quella del ricordare, dal cui incontro scaturisce l’opera del
pittore e la poetica che la sostiene.
Memorie fantastiche sono infatti da reputare le
componenti figurative che Gorlato combina nei suoi dipinti, cogliendo risultati
espressivi di forte suggestione. Considerate nella loro globalità, configurano
apparentemente un grande repertorio del paesaggio italiano, naturale ma
soprattutto urbano, nel quale ogni elemento rappresentato potrebbe trovare
corrispondenza in uno reale, se non si limitasse solo a somigliargli. Dietro le
innumerevoli invenzioni architettoniche allestite dal pittore, nel tempo
divenute protagoniste dei suoi lavori, non si nasconde a nostro avviso la figura
dell’uomo costruttore, ma piuttosto quella dell’artista quale autore, o
meglio, restauratore di miti. È nel mito che gli eventi e le cose
smarriscono la loro identità originaria, affinché in essi ognuno possa
riconoscere il senso, o la contraddizione, implicati nella propria esperienza
del mondo; ed è il mito a non avere autore, poiché solo trovando dimora
nell’inconscio collettivo può divenire tale. Per restituire vita alle sue
ceneri, Gorlato pondera l’immagine attraverso lo sguardo del viandante, o del
sognatore: di coloro cioè che scoprono, reinventano, ma soprattutto donano una
profondità simbolica e narrativa a un mondo che già esiste. A questo proposito,
risultano illuminanti alcune titolazioni che attribuiscono caratteristiche e
funzioni “umane” agli elementi inanimati. È il caso, tra i tanti, de La
Sentinella, realizzato nel 1992, oppure de I custodi del lago,
dipinto 2009, lavori dove, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’uomo
è irrintracciabile. Analogamente assente è ne I costruttori di idee,
datato 2014, che vede un grande cavallo di Troia policromo troneggiare su di
una scacchiera, oltre la quale giace una cittadella giocattolo i cui edifici,
quando rovesciati, mostrano di essere vuoti.
Se i valori narrativi dell’opera di Gorlato
rimangono sfuggenti, poiché perennemente sospeso risulta ogni possibile
racconto, evidente è la volontà di riflettere, attraverso essa, sulla natura
stessa del rappresentare. Mettendo in atto alcuni inconsuete soluzioni formali,
l’artista sembra in diverse occasioni voler indicare nella pratica della messinscena
e nel tema della finzione due componenti essenziali dell’immagine
pittorica. Tale proposito si rende manifesto in alcuni paesaggi che,
staccandosi da un fondo uniforme come fossero dipinti su cartoni ritagliati,
ricordano scenografie da spiegare e ripiegare a seconda della necessità; ma è
leggibile anche nelle vistose incongruenze dimensionali create dall’accostarsi
di borghi lillipuziani ad agglomerati architettonici che, rispetto ad essi,
appaiono monumentali.
Da questa dimensione espressiva ove a regnare sono
in definitiva le cose, la figura umana non è completamente esclusa.
Escluso è piuttosto l’individuo, sostituito da personaggi - simbolo, quasi
sempre rappresentativi di un ruolo sociale o di una fase storica, quando non di
origine celeste. Si tratta di filosofi, sacerdoti, angeli o giocolieri: ridotti
sovente a piccole “cifre” figurative, essi punteggiano alcune delle opere
maggiori dell’artista, testimoni della misteriosa epifania dell’immagine.
Biografia
Nato a
Padova nel 1940, Bruno Gorlato frequenta il Liceo Artistico di
Venezia. Nel 1955 partecipa alla XLIII Collettiva dell’Opera
Bevilacqua La Masa di Venezia. Diplomatosi nel 1958 si iscrive
all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Lo stesso
anno ottiene riconoscimenti al Premio Cittadella curato da Bino
Rebellato. Dalla fine degli anni cinquanta alla prevalente attività
pittorica accosta prove di grafica e incisione.
Dagli
anni settanta l’attività espositiva si fa consistente: da
segnalare le personali alla Galleria Caleidoscopio di Padova nel
1970, alla Galleria Images 70 di Abano Terme nel 1972 e nel 1974,
alla Galleria L’Ariete di Bologna nel 1986.
Nel
1982 il Comune di Padova organizza la prima antologica dedicata alla
sua opera, intitolata La Favola Metafisica di Bruno Gorlato e
curata da Giorgio Segato e
Franco Solmi.
Partecipa per invito al Premio Suzzara nel 1970, al V Premio
Mazzacurati di Teramo nel 1973 e al I Premio Bruno Saetti di
Montepiano nel 1988.
La prima mostra all’estero viene allestita nel 1992 presso la
Galerie Kunst und Handwerk di Wunstorf in Germania.
Tra
le numerose collettive sono da ricordare la III e V Rassegna
d’Arte Contemporanea degli artisti padovani
nel 1991 e 1993, e la mostra Artisti a Padova negli anni
Cinquanta, tenutasi a Padova nel
1996.
L’attività
più recente è testimoniata da mostre antologiche in Italia e
all’estero: nel 2000 La Torlonga alla
Galleria Civica Cavour a Padova e Ascoltati incanti silenti
a Villa Pisani di Stra, Per
gli Antichi Borghi a Montreal in
Canada e Borghi sognati a
Poitiers in Francia nel 2003, Die Horte des Träumers
a Freiburg in Germania nel 2004; esposizioni a cui seguono le recenti
personali in Germania a Herdecke nel 2007 e a Hagen nel 2010.
Ricca
è la produzione grafica, presentata in rassegne quali Dialogo.
Dieci incisori padovani,
esposta a Bassano del Grappa nel 2008, a Este nel 2011, a Soncino nel
2009, alla Nanwa Gallery di Tokyo nel 2010, e Dialoghi
incisi. L’arte del segno tra Padova e il Giappone,
presentata a
Padova nel 2011.
Nel
2009 con il gruppo Dieci
incisori padovani
è invitato a rappresentare l’Italia alla VI Novosibirsk Graphic
Bienal in Russia.
Dal 2012 fa parte
dell’Associazione nazionale incisori contemporanei.
Nel
2015 il Comune di Padova gli dedica l’ampia antologica
Annunciazioni,
allestita negli spazi del Centro culturale Altinate San Gaetano e
curata da Stefano Annibaletto.